LEGGENDO TRA LE RIGHE

Nella mia libreria…….. 

 

 

 

Kiku-San, La moglie giapponese, di Pierre Loti
“I pasti di Crisantemo sono una cosa inverosimile. La mattina, al risveglio, inizia con due prugne verdi selvatiche in aceto e cosparse di polvere di zucchero. Una tazza di tè completa la colazione pressochè tradizionale in Giappone, la stessa che si mangia di sotto, a casa di Ume-san, la stessa che si serve ai viaggiatori negli alberghi. Durante il giorno si continua con due pranzetti preparati con molta cura. Da casa di Ume-san, dove si cucina, il cibo viene portato di sopra su un vassoio di lacca rossa, in microscopiche tazze con coperchio: carne trita di passero, un gamberetto farcito, un’alga in salsa, un dolcetto salato, un peperoncino zuccherato….”.
“Nell’attesa del signor Kanguro (che sta arrivando, sembra si stia vestendo) è meglio gustare il mio spuntino! In una deliziosa ciotola, decorata con cicogne in volo, c’è una zuppa indecifrabile, alle alghe. Accanto, pesciolini secchi allo zucchero, granchi allo zucchero, frutta all’aceto e al pepe. Il sapore è atroce, ma, soprattutto imprevisto, inimmaginabile”.

Comma 22, di Joseph Heller
“La mensa funzionava alla perfezione quando Milo era via. Lo stomaco di Yossarian aveva reagito ad un improssivo attacco di voracità all’aroma pungente e piccante di capretto ch’egli sentì mentre ancora si trovava nella cabina dell’ambulanza, rimbalzante giù per la strada che allacciava, come una giarrettiera rotta e aggrovigliata, l’ospedale con l’accampamento della squadriglia. C’era del shish-kabob per pranzo: enormi pezzi appetitosi di carne cotta sfrigolando diabolicamente infilzata in uno spiedo sui carboni accesi, dopo essere stata marinata per settandue ore in una mistura segreta che Milo aveva carpito a un mercante trafficone in qualche posto. La carne era accompagnata da riso persiano, cime d’asparagi alla parmigiana, e poi seguita da ciliege giubileo come dessert e da tazze fumanti di caffè fresco con liquore dei Benedettini e cognac. Il pasto veniva servito in portate abbondantissime su tovaglie di damasco dagli abilissimi camerieri italiani che il maggiore…de Coverley aveva depredato alla terraferma e affidato a Milo”.

I Vicerè, di Federico De Roberto
“In città, la cucina dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le arancine di riso grosse ciscuna come un mellone, le olive imbottite, i crespelli melati erano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare; e pei gelati, per lo spumone, per la cassata gelata, i Padri avevano chiamato apposta da Napoli don Tino, il giovane del caffè di Benvenuto”

La saga dei Calzalet-gli anni della leggerezza, di Elisabeth Jane Howard
“Teddy sedeva dritto fra i suoi genitori nella sala da pranzo riservata agli ospiti del club, con in mano un elegante menu che recava il guidone dello Yacht Club inciso in cima. C’era un’amplissima scelta di portate: gamberi in salsa e salmone affumicato come antipasto… e poi cotolette d’agnello, pasticcio di cacciagione, bistecca e un vasto assortimento di verdure, ma anche treacle tart, torta di mele e more, gelato………Fu un pranzo magnifico. Per una volta i suoi genitori lo tennero in considerazione e non s’immersero in qualche noiosa conversazione che a lui non poteva in nessun modo interessare; anche se, con tutta quella buona roba, probabilmente quella volta non ci avrebbe fatto molto caso. I gamberi in salsa furono serviti dentro una pasta di burro gialla, accompagnati da tre sottili triangoli di pane tostato, posati su un piattino e coperti da un tovagliolo bianco, solo per lui. Il pasticcio somigliava a una fetta di torta: fuori una crosta croccante, di un marrone brunito, e dentro, sotto un centimetro di deliziosa pasta bianca meno cotta, uno strato di soda gelatina marrone chiaro con pezzetti di carne di cacciagione, succosa e con un delizioso retrogusto selvatico. Gli furono serviti anche due bicchieri di sidro.”

La saga dei Calzalet-gli anni della leggerezza, di Elisabeth Jane Howard
“Mrs Cripps passò la mattinata a spennare e sventrare due coppie di fagiani da cucinare per cena; macinò anche alcuni resti di lombo di manzo per il pasticcio, fece del pandispagna, più di trenta tortine alle prugne, due grossi vasi di crema all’uovo, due pudding di riso, della salsa al latte, un dolce di prugne e una grande quantità di pastella con cui friggere le salsicce per il pranzo dei domestici, due torte di meringa al limone e quindici mele ripiene al forno per la cena padronale. Inoltre supervisionò la cottura di una ragguardevole quantità di verdure: patate per il pasticcio, cavoli da accompagnare alle salsicce, carote, fagiolini, spinaci e anche due zucche di dimensioni grottesche….”

Una storia comune, di Shmuel Yosef Agnon
“Quello che piace a Zirl è un pranzo come si deve: carne arrosto, scottata o lessa, milza, trippa o frattaglie, collo d’oca ripieno e farfl impastati con tuorlo d’uovo che si stendono a seccare nel forno e si fanno col sugo, il sugo diventa dolce e si sciolgono in bocca, e pollo ripieno di fior di farina… Ma non sempre Zirl è soddisfatta del suo pranzo…La vecchia serva, finchè c’era stata, lei sì che sapeva azzeccare i suoi gusti: rafano dolce per la carne in umido, piccante per quella arrosto, se il giorno prima aveva cucinato carne in umido, di certo l’indomani avrebbe preparato un arrosto, e così faceva per il contorno: prugne dolci per l’arrosto, agre per il lesso…”

Una storia di amore e di tenebra, di Amos Oz
“Che cosa mangiavano gli ashkenaziti poveri a Gerusalemme negli anni quaranta? A casa nostra: pane nero con anelli di cipolla e mezze olive e a volte anche pasta di acciughe; pesce affumicato e pesce sotto sale che risalivano entrambi dagli abissi di botti olezzanti in un angolo del negozio del signor Auster; in occasioni particolari arrivavano in tavola sardine, che da noi erano considerate una prelibatezza. Mangiavamo zucchine e zucca e melanzane stufate, melanzane fritte, e anche una purea di melanzane intrisa di olio, spicchi d’aglio e cipolla tritati. La mattina c’era pane nero con marmellata e, qualche volta, pane nero con il formaggio… La mattina mi davano il più delle volte una pappa di Quacker che sapeva di colla, e quando dichiarai sciopero iniziò ad arrivare al suo posto una pappa di semolino sulla quale spargevano apposta per me una presa bruna di polvere di cannella. Mia madre beveva una tazza di tè al limone, qualche volta ci bagnava un biscotto scuro di marca Frumin. Mio padre la mattina prendeva una fetta di pane nero con una confettura gialla e appiccicosa, mezzo uovo sodo (che da noi era chiamato “uovo lesso”), delle olive, qualche fettina di pomodoro, peperone e cetriolo spellato e anche il latticino fresco della Tenuva che arrivava dentro delle boccette di vetro.”

Una storia di amore e di tenebra, di Amos Oz
“Nonna disponeva il rinfresco come una smagliante parata militare sul tavolo della cucina e sul ripiano di marmo, e spediva continuamente nonno carico di vassoi al fronte, a servire gli ospiti il bortsch freddo di barbabietola sopra il quale galleggiava un iceberg di panna, un vassoio con delle clementine sbucciate, frutta di stagione, noci, mandorle e uva passa e fichi secchi e anche frutta e buccia d’arance candite, marmellate, confetture e altre conserve, torte con semi di papavero e altre ripiene di marmellata, lo strudel con le mele o qualche altra prelibata pasta sfoglia”.

Il Manifesto della Cucina Futurista, di Filippo Tommaso Marinetti
“Crediamo anzitutto necessaria:
a) L’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana. Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso,il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova. Per esempio, contrasta collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani. Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati, oratori travolgenti, avvocati arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa pastasciutta quotidiana. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo. Un intelligentissimo professore napoletano, il dott.Signorelli, scrive: “A differenza del pane e del riso la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato. Ciò porta ad uno squilibrio con disturbi di questi organi. Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”.
Invito alla chimica
La pastasciutta, nutritivamente inferiore del 40% alla carne, al pesce, ai legumi, lega coi suoi grovigli gli italiani di oggi ai lenti telai di Penelope e ai sonnolenti velieri, in cerca di vento. Perchè opporre ancora il suo blocco pesante all’immensa rete di onde corte lunghe che il genio italiano ha lanciato sopra oceani e continenti, e ai paesaggi di colore forma rumore che la radiotelevisione fa navigare intorno alla terra? I difensori della pastasciutta ne portano la palla o il rudero nello stomaco, come ergastolani o archeologi. Ricordatevi poi che l’abolizione della pastasciutta libererà l’Italia dal costoso grano straniero e favorirà l’industria italiana del riso”.

Pnin, di Vladimir Nabokov
“E’ un biochimico e ora si trova a Pittsburgh” disse Betty, aiutando Pnin a disporre fette imburrate di pane francese intorno a un vasetto di caviale fresco di un grigio lucente, e a lavare tre grossi grappoli d’uva. V’era anche un grande vassoio di carne fredda affettata, autentico pane scuro di segala, uno specialissimo piatto di vinaigrette nel quale i gamberetti si intrattenevano amichevolmente con sottaceti e piselli, alcune salsicce in miniatura con salsa di pomodoro, pirozki caldi (tartine con funghi, tarine con carne, tartine con cavoli), quattro qualità di frutta secca, e svariati e interessanti dolci orientali. Le bevande erano rappresentate dal wisky (offerto da Betty), dalla rjabinovka (liquore di sorbe selvatiche), da cocktail di brandy e granatina, e naturalmente dal ponce di Pnin, una inebriante miscela di Chateau Yquem gelato, di succo di pompelmo e maraschino, che il solenne anfitrione aveva già cominciato a rimestare in una grande coppa di luminoso cristallo color acquamarina, con un disegno decorativo di volute e ninfee.”

Lessico famigliare, di Natalia Ginzburg
“Io non volevo mai fare colazione al mattino. Il latte, lo detestavo. Il mezzorado, ancora di più. Tuttavia mia madre sapeva che io a casa della Frances, quand’ero là a merenda, bevevo tazze di latte; e così anche dai Terni. In verità io bevevo quel latte, dai Terni e dalla Frances, con estrema ripugnanza; lo bevevo per ubbidienza e per timidezza, trovandomi fuori di casa mia. Mia madre s’era messa in testa che il latte, dalla Frances, mi piaceva. Perciò al mattino mi veniva portata una tazza di latte, e io, regolarmente, rifiutavo di toccarla. -Ma è il latte della Frances!-diceva mia madre-E’ il latte di Lucio! è la mucca di Lucio!-Mi dava da intendere che quel latte erano andati a prenderlo dalla Frances; che Lucio e la Frances avevano una loro mucca personale, e che il latte in casa loro non era comprato dal lattaio, ma fatto venire ogni giorno da certe terre che avevano in Normandia, una campagna chiamata il Grouchet”.

Dove è sempre notte, di John Banville
“Più tardi Quirke non riusciva a dormire. Durante la cena nella sala da pranzo lugubramente illuminata solo da candele la conversazione aveva languito. Erano state servite lucide fette di manzo, patate arrosto di un marrone bruciato, cavolo sminuzzato e carote raggrinzite, il tutto apparentemente ricoperto da un appiccicoso strato di vernice presente in tutta la casa”.

Il vino della solitudine, di Irène Némirovsky
“Mangiarono la charlotte di mele accompagnata da una crema al cioccolato caldo. Hélène adorava il cioccolato e smise momentaneamente di interessarsi alla conversazione degli adulti, come le diceva sua madre quando la rimproverava per questo”.

La panne, di Friedrich Dürrenmatt
“Poi entrarono gli altri. Sedettero intorno alla tavola rotonda.Una simpatica combriccola, parole facete. Dapprima furono serviti diversi tipi di antipasto, affettato, uova alla tartara, lumache, brodo di tartaruga. L’atmosfera era eccellente, si mangiava contenti, si sorbiva senza imbarazzi…….
Aveva avuto una giovinezza assai difficile, raccontò Traps, mentre Simonetta cambiava i piatti e metteva in tavola una zuppiera gigantesca e fumante. Champignons à la crème…..
Senti, senti, gracidavano i vegliardi, personali indagini, questa sì che è buona: intanto Simonetta cambiava di nuovo i piatti e metteva in tavola un arrosto di vitello farcito di rognoni…
Il pubblico ministero alzò solennemente il bicchiere. Signori, disse, brindiamo a questa nostra scoperta gustandoci il Pichon-Longueville 1933. Un buon Bordeaux per un buon giuoco!…
Sciagurato! gemette il difensore. Che cosa intende dicendo: quando comincerà l’interrogatorio? Bè, replicò il rappresentante generale, riempiendosi il piatto di insalata, è per caso già cominciato?…
E con queste parole ritornarono nella sala da pranzo, dove era già stato servito il pollo e nei bicchieri scintillava un Chateau Pavie 1921….
Il vassoio dei formaggi fece ancora un giro, poi il giudice invitò il pubblico ministero a tenere il suo discorsetto accusatorio….
Si schiarì la gola. Traps lo guardava allibito con un pezzo di Vacherin in bocca, avvinto dalle sue parole…
Il pubblico ministero si era alzato e guardava felice Traps, intento a raschiare con il coltello la crosta al Tete de Moine...
Quando Traps diede queste spiegazioni, stavano già tutti seduti nelle soffici poltrone adorne di massime morali; ognuno prese la sua tazzina di caffè caldo, mescolò con il cucchiaino, e ci bevette sopra il suo cognac-un Roffignac del 1893-da grandi bicchieri panciuti…
La serata aveva raggiunto il suo apice. Lo champagne spumeggiava, nulla offuscava l’allegria dei commensali, un’allegria esultante e fraterna; anche il difensore era di nuovo avvolto nel bozzolo della simpatia generale. Le candele erano ormai consumate, alcune già spente; fuori si affacciava il mattino, le stelle impallidivano, un’aurora lontana, frescura e rugiada….”.

Il Barone rampante, di Italo Calvino
Il suo animo tristo s’ esplicava soprattutto nella cucina. Era bravissima nel cucinare, perché non le mancava né la diligenza né la fantasia, doti prime d’ogni cuoca, ma dove metteva le mani lei non si sapeva che sorprese mai potessero arrivarci in tavola: certi crostini di paté, aveva preparato una volta, fìnissimi a dire il vero, di fegato di topo, e non ce  l’aveva detto che quando li avevamo mangiati e trovati buoni; per non dire delle zampe di cavalletta, quelle di dietro, dure e seghettate, messe a mosaico su una torta; e i codini di porco arrostiti come  fossero ciambelle; e quella volta che fece cuocere un porcospino intero, con tutte le spine, chissà perché, certo solo per farci  impressione quando si sollevò il coprivivande, perché neanche lei, che pure mangiava sempre ogni razza di roba che avesse preparato, lo volle assaggiare, ancorché fosse un porcospino cucciolo, rosa, certo tenero.
Infatti, molta di questa sua orrenda cucina era studiata solo per la figura, più che per il piacere di farci gustare insieme a lei cibi dai 72 sapori raccapriccianti. Erano, questi piatti di Battista, delle opere di finissima oreficeria animale o vegeta le: teste di cavolfiore con orecchie di lepre poste su un colletto di pelo di lepre; o una testa di porco dalla cui bocca usciva, come cacciasse fuori la lingua, un’aragosta rossa, e l’aragosta nelle pinze teneva la lingua del maiale come se gliel’avesse strappata.
Poi le lumache: era riuscita a decapitare non so quante lumache, e le teste, quelle teste di cavallucci molli  molli, le aveva infisse, credo con uno stecchino, ognuna su un bignè, e parevano, come vennero in tavola, uno stormo di piccolissimi cigni. E ancor più della vista di quei manicaretti faceva impressione pensare dello zelante accanimento che certo Battista v’aveva messo a prepararli, immaginare le sue mani sottili mentre smembravano quei corpicini d’animali.
Il modo in cui le lumache eccitavano la macabra fantasia di nostra sorella, ci spinse, mio fratello e me a una ribellione, che era insieme di solidarietà con le povere bestie straziate, di disgusto per il sapore delle lumache cotte e d’insofferenza per tutto e per tutti, tanto che non c’è da stupirsi se di lì Cosimo maturò il suo gesto e quel che ne seguì.”

Un’eredità di avorio e ambra, di Edmund de Waal
“I piccoli di Palais Ephrussi sono accuditi da balie e bambinaie. Le balie sono viennesi e cordiali, le bambinaie inglesi. E visto che le bambinaie sono inglesi, anche la colazione è all’inglese, non mancano mai porridge e toast. Il pranzo è abbondante, con il pudding, e poi c’è il tè del pomeriggio, con pane, burro, marmellata e dolcetti, e infine la cena, con latte e frutta cotta, per mantenerli regolari………..
Il 26 ottobre, il primo ministro Karl von Sturgkh viene assassinato nel ristorante dell’hotel Meissl & Schadn in Karntner Strasse. Due sono i particolari interessanti. Il primo: l’omicida è il socialista Fritz Adler, figlio del leader socialdemocratico Victor. Secondo: Sturgkh aveva pranzato con zuppa di funghi, manzo bollito con contorno di purè di rape, budino. Aveva bevuto vino bianco con selz…
L’approvigionamento di cibo è sempre più difficoltoso. Da due anni bisogna mettersi in coda per comprare il pane, il latte, le patate, ma ora si sta in fila anche per le prugne, i cavoli e la birra. Le massaie sono esortate ad usare la fantasia. Kraus descrive un’ingegnosa ed efficiente casalinga teutonica “Oggi siamo stati accuditi in maniera impeccabile…C’era ogni tipo di pietanza. Abbiamo consumato un corroborante brodo di dado Excelsior, fatto con pasta di cacao; poi un gustoso surrogato di polpettone con surrogato di caviolo rapa, e frittelle di patate di paraffina”.

L’Adalgisa, di Carlo Emilio Gadda
“Il dopocolazione del sabato. Nell’uso comune dell’Italia settentrionale (non invece della centrale, meridionale, insulare), le ordinarie assunzioni di cibo e pozione vengono oggi (1943) così denominate: 1) Caffelatte o caffè e latte il mattino (dalle 8 alle 11 secondo sunrise): franc. cafè au lait, ingl. breakfast (con bacone, aringhe, ova sode e altri filamenti e cadaveri in salagione), spagnolo almuerzo, tedesco Frustuck: da noi più o meno adorno di marmellate e butirri, e da taluni sostituito con thè e cioccolatto. 2) Colazione (Mittagessen, déjeuner) il pasto del mezzodì, tredici, quattordici. 3) Tè o thè la tazza di liquido ingerito verso le diciasette-diciotto con eventuale rincalzo solido o semisolido: talora si specifica la qualità della bevanda (per es. cappuccino): mai si dice “all’ora del tè”; pei ragazzi e pei lavoratori dei campi, a pane e fichi, parlasi invece di merenda; 4) Pranzo è il pasto serale, dalle diciannove-venti-ventuno”.

L’uovo alla kok, di Aldo Buzzi “La olla è il piatto principale del pasto di mezzogiorno in molte regioni della Spagna: una specie di bollito misto, di pot au feu con ceci. Olla significa pentola. Per i nostri antenati romani era un vaso di coccio per conservare le ceneri (la memoria) dei defunti. La semplice olla di tutti i giorni si trasforma, nei giorni di festa, in olla potrida, (francese potpourri), che letteralmente significa pentola imputridita e, nel linguaggio culinario spagnolo, mescolanza (forse un pò caotica) di numerose e diverse carni e verdure: manzo, montone, piedini e orecchie e coda di maiale, pernice, pollo, prosciutto crudo, pancetta, salsicce e, oltre ai ceci, carote, porri, cipolle, cavolo, patate, lattughe”.

Fermentazione, di Angelica J.
“Quanti formaggi avete qui?”. “Più di mille” rispose ” e ogni settimana ne facciamo di nuovi. Più il mondo diventa piccolo, più loro sembrano aumentare di numero. Non riuscirà mai ad assaggiarli tutti, ma provi il roquefort: è il re dei formaggi”. “Il re?”. “Nelle sue vene scorre sangue blu. E’ un formaggio da veri intenditori. Queste vene scorreranno nelle sue”.

Gola, di John Lanchester
“La spalla d’agnello disossata farcita di albicocche è una di quelle combinazioni coesistenti da sempre in un rapporto che non è di semplice complementarità ma sembra partecipe di un più alto ordine di ineluttabilità: un gusto che esiste nella mente di Dio. Simili accostamenti posseggono la qualità di una scoperta logica: bacon e uova, tartufi bianchi e tagliolini, fragole e panna, Armagnac e prugne, Porto e Stilton; sull’attento esploratore dei sensi, la prima esperienza con una qualsiasi di queste combinazioni avrà un impatto simile a quello della scoperta di un nuovo pianeta su un astronomo”.

L’Istituto per la regolazione degli orologi, Tanpinar
“Era chiaro che con poche parole stava comunicandomi la sua felicità. Ma all’improvviso le triglie che stavano sul piatto attirarono la sua attenzione. Io avrei potuto aspettare ancora un po’. Ma non le triglie. Si sarebbero raffreddate. Le triglie fredde non servono un granché. Con la mano che tolse dalla spala di Halit il Regolatore ne afferrò una e se la porto alla bocca con lo stesso sorriso infantile………Un’altra triglia si trasformò in una lisca prima di venire gettata sul pavimento. Ripeté il gesto due o tre volte. Non c’era bisogno di forchette. Era solo un disturbo. Lui era un uomo franco. Si vedeva dallo sguardo. Non c’era quindi nessun motivo per cui non si comportasse in modo franco anche con le triglie. La mediazione di una forchetta sarebbe stato un approccio troppo indiretto. La forchetta era destinata ai pasti, non a quel tipo di spuntini. Giunto alla quinta triglia, mi fissò in modo cento volte più comprensivo di prima. Mi guardava come se avessi creato io le triglie e le avessi pescate e cucinate. Squisite, veramente squisite. Sono ben cotte. E poi è la stagione!”.